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IL RISO

Il riso e’ il cereale più consumato nel mondo e costituisce l’alimento base di circa 1/3 della popolazione terrestre.

Il riso appartiene alla famiglia botanica delle graminacee.

E’ coltivato, oltre che in quasi tutti i paesi dell’Asia orientale, in Egitto, in Italia, negli Stati Uniti e in Brasile.

La sua coltivazione esige un’abbondantissima disponibilità di acqua, è seminato in appositi appezzamenti, le risaie, dotati di arginelli che ne permettono la sommersione.

Le risaie restano allagate per quasi tutto il periodo vegetativo della pianta, che poi viene raccolta e trebbiata.

Le aziende di raffinazione sono in genere localizzate nei pressi delle zone di coltivazione.

I chicchi di riso sbramati e sbiancati spesso vengono sottoposti anche alla brillatura, cioè alla lucidatura per mezzo di talco e glucosio.

Il riso coltivato in Italia appartiene alla sottospecie japonica: ha i “chicchi” tondeggianti, e per le sue qualità e’ ritenuto uno dei migliori a livello mondiale.

In Italia la coltivazione del riso iniziò a diffondersi nelle zone del milanese e del vercellese tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, e sono a tutt’oggi importanti zone di produzione.

Nello stesso periodo cominciò la coltivazione in alcune zone del veneto, presso i possedimenti delle grandi famiglie della nobiltà veneziana.

Con il riso si possono realizzare un numero incredibile di piatti diversi, dall’antipasto al dolce, ma la riuscita della ricetta prescelta e’ comunque condizionata dalla scelta della varietà di riso più indicata.

 

Le varietà italiane di riso sono divise in quattro tipi:

Comuni: con chicchi piccoli e tondi, adatti per minestre, minestroni e dolci. Le varietà più note sono l’Originario e il Balilla.

Semifini: con chicchi tondeggianti di media lunghezza, adatti per antipasti, risi in bianco, supplì, timballi e risotti mantecati. Le varietà più note sono Vialone nano, Rosa Marchetti, Padano.

Fini: con chicchi lunghi e affusolati, adatti specialmente a contorni. Le principali varietà sono Arborio, S. Andrea, Europa

Superfini: con chicchi grossi e molto lunghi, particolarmente adatti alla preparazione di risotti e contorni. Le principali varietà sono Carnaroli, Roma e Baldo.

A Bagnolo la coltivazione del riso ha radici secolari. Fin dal XVI secolo la nobile famiglia veneziana dei Pisani convertì con grande successo, parte dei suoi vasti possedimenti bagnolesi in risaia.

La Coltivazione

Come nasce una risaia. I criteri di sistemazione della risaia hanno subito un radicale mutamento nel corso degli ultimi decenni, in conseguenza dell’avvento e della diffusione della meccanizzazione. L’esigenza di operare su adeguate dimensioni di superficie per poter convenientemente impiegare le macchine occorrenti all’esecuzione delle diverse operazioni colturali e la possibilità di effettuare rilevanti spostamenti di terra, mediante specifici mezzi meccanici operanti con relativa facilità e in breve tempo, hanno portato sistemazioni indubbiamente più razionali. Prima dell’avvento della meccanizzazione, nei numerosi casi in cui il profilo altimetrico del terreno era irregolare, ci si adattava alle sue condizioni. Si costruivano, pertanto, numerosi argini seguendo le curve naturali di livello a quote differenti di pochi centimetri l’una dall’altra. Il più delle volte, ciò comportava la formazione di una fittissima rete di arginelli dall’andamento non sempre rettilineo, determinando la suddivisione dell’appezzamento in numerose “camere” a livelli. In tale modo, si poteva eseguire il livellamento del terreno con operazioni non eccessivamente onerose. Negli ultimi tempi, si è provveduto alla sistemazione del terreno in base a concetti più moderni e sono pressoché scomparse le sistemazione con disposizione ad anfiteatro o mammellonare, a scacchiera e a gradinata.

araturaL’aratura. Il terreno coltivato a riso per più anni, e quindi sommerso, si trova, per tutta la durata della coltura, in condizioni riduttive, non del tutto favorevoli allo sviluppo delle radici. Diviene quindi utile periodicamente provocare l’ossidazione del terreno e modificare la struttura con il rivoltamento. Le funzioni agronomiche che deve esercitare l’aratura, che avviene sul finire dell’inverno, sono diverse: alcune sono comuni ad ogni tipo di suolo e situazione; altre sono più o meno importanti o necessarie secondo la natura ed i componenti del suolo stesso, la varietà colturale adottata, il tipo di fertilizzazione e la profondità di interramento dei composti fertilizzanti. Tra l’inverno e la primavera, i trattori trainano in campo attrezzature dotate di grandi lame d’acciaio che tagliano il terreno, lo lavorano e lo rivoltano. Il rivoltamento del suolo a mezzo dell’aratro assolve le principali funzioni di: a) aerazione del terreno; b) incorporamento del fertilizzante; c) affossamento degli elementi organici; d) rinettamento del terreno nei riguardi di alcune erbe spontanee avventizie o infestanti.

concimazioneLa concimazione. Il problema della fertilizzazione della risaia, esaminato sotto la duplice prospettiva dell’apporto dei concimi organici e di quelli minerali, è un capitolo ampio e complesso. In generale, però, è necessario dire che gli obiettivi della fertilizzazione – che avviene a marzo – sono numerosi: a) modificare lo stato di carenza del suolo riguardo ai singoli elementi nutritivi; b) stabilire o ristabilire nel terreno, tra i diversi elementi della fertilità, un rapporto corrispondente a quello della loro utilizzazione da parte della pianta del riso; c) accrescere il potenziale di fertilità del suolo; d) compensare le asportazioni degli elementi conseguenti la produzione e la raccolta del riso, tenuto conto degli inevitabili disperdimenti; e) modificare ed accrescere il valore merceologico, oltre a quello biologico, del prodotto raccolto.

erpicaturalivellamentoL’erpicatura e il livellamento. Una delle condizioni prime per conseguire un risultato tecnico-economico superiore in risicoltura è quello di preparare un letto di semina il più possibile piano. Rilievi e bassure, infatti, non consentono manovre d’acqua accurate, annullano o attenuano l’efficacia degli interventi diserbanti, non consentono alla coltivata di utilizzare in modo uniforme gli elementi fertilizzanti apportati, impediscono o esaltano l’attitudine della pianta ad accestire regolarmente. Quindi, dopo l’aratura, il terreno viene erpicato e successivamente inondato e livellato. L’erpicatura, eseguita prima della sommersione, assolve tre importanti funzioni: a) la rottura e l’amminutamento delle grosse zolle formatesi in seguito al rivoltamento del terreno; b) il perfetto incorporamento dei fertilizzanti distribuiti prima e dopo l’aratura; c) l’appianamento del suolo. Eseguita l’erpicatura, si procede alla sommersione ma, in molti casi, risulta necessario un perfezionamento del livello del terreno per evitare ce la coltre d’acqua sia troppo elevata.

sommersioneLa sommersione. La funzione della sommersione, che avviene subito dopo l’erpicatura e il livellamento, a marzo, è quella di proteggere il seme dagli sbalzi termici; essa avviene riempiendo la risaia d’acqua fino a 3-5 centimetri dal suolo. Il seme di riso in acqua in 8 giorni si gonfia ed emette le radichette. Da allora in poi, la risaia viene prosciugata e poi nuovamente irrigata.

 

asciuttaIl diserbo e l’asciutta. Il seme ospita, normalmente, parassiti fungini di ordine e specie diverse la cui azione si manifesta, nei casi meno gravi, mediante la diminuzioni delle attitudini germinative. Per prevenire il danno e ridurre l’azione negativa dei funghi presenti nel terreno, è necessario praticare la disinfezione del seme. Il controllo delle infestanti è conseguito invece attraverso la combinazione di sistemi colturali, meccanici e biologici. Il diserbo avviene intorno al mese d’aprile, prima della semina e subito dopo di essa. I metodi di lotta possono essere ecologici, meccanici e chimici, ovvero implicare l’uso di diserbanti ed erbicidi. Infine avviene l’asciutta di radicamento, 15-20 giorni dopo la semina: essa determina il potenziamento e l’allungamento delle radici, la migliore nutrizione della pianta e un superiore sviluppo vegetativo.

seminaLa semina. Dopo l’aratura avviene, tra marzo e maggio, la semina durante la quale vengono distribuiti da 140 a 190 chili di semente di riso per ettaro. Attualmente, la semina diretta è praticamente l’unico metodo di coltura del riso in Italia. Una volta questo cereale veniva coltivato in piccoli appezzamenti e poi trapiantato ma questo sistema, oneroso, è stato via via abbandonato. La semina può avvenire su risaia sommersa (sistema a spaglio) o non sommersa (sistema a file su terreno melmoso, a spaglio su terreno asciutto, a file o a postarella con seme in superficie, a file con seme interrato).

1044La maturazione. La scelta del giusto momento del taglio ha una certa importanza e le difficoltà sono legate al fatto che la velocità e l’uniformità di maturazione variano secondo numerose componenti, a partire dalle varietà. Durante il processo di maturazione, l’amido, accumulato essenzialmente nelle due ultime foglie, trasloca nelle cariossidi. Il progressivo accumulo termina con la completa formazione del granello. La lunghezza massima della cariosside viene raggiunta 25-30 giorni dopo la fioritura, da settembre ad ottobre. La larghezza e lo spessore, invece, hanno un rapido incremento circa 30 giorni dopo la fecondazione.

raccoltoIl raccolto. Il raccolto del risone, attualmente eseguito con l’impiego di mietitrebbiatrici, fino al 1950 veniva praticato manualmente. I primi successi nella meccanizzazione si ottennero con l’avvento delle mietitrebbiatrici semoventi, provate all’inizio degli anni ’50 dall’Ente Nazionale Risi. Negli ultimi anni, il progresso tecnologico ha raggiunto punte di perfezione altissime. In Italia, le operazioni di raccolta del riso hanno luogo, per la maggior parte, nei mesi di settembre-ottobre.

essicazioneL’essiccazione. Il riso appena raccolto contiene una determinata quantità di acqua e ciò può dipendere dalla maturazione più o meno conclusa, dall’imbibizione di acqua piovana o di rugiada, ecc. Il contenuto di umidità del prodotto raccolto supera sempre il 14-14,5%, cioè il limite massimo consentito non soltanto per la buona conservazione, ma anche per la confacente lavorazione del prodotto destinato all’alimentazione. Se la trebbiatrice è stata la prima macchina che è entrata in risicoltura, l’essiccatoio va senz’altro considerato al secondo posto di questa graduatoria. Attualmente, gli essiccatoi si differenziano tra quelli statici (a ciclo giornaliero o prolungato) e quelli dinamici (col movimento del prodotto ad intermittenza o continua); attualmente, il moderno impianto di essiccazione non è composto soltanto dal corpo essiccante vero e proprio ma anche da tutte le attrezzature complementari tra cui la tramoggia per la ricezione del prodotto umido che appositi rimorchi portano all’essiccatoio.

stoccaggioLo stoccaggio. Se è ben conservato, il riso in magazzino continua a maturare e la cariosside diventa più consistente. Il riso “stagionato” tiene la cottura meglio del “novello”. Durante il “riposo”, si verifica nel prodotto una lentissima respirazione mediante la quale è consumata una modica quantità di zuccheri con produzione di anidride carbonica e di acqua. L’invecchiamento rende l’amido e le proteine meno solubili in acqua; il tempo necessario per la cottura aumenta, in parallelo all’incremento di volume, all’assorbimento dell’acqua, nella resistenza allo spappolamento.

lavorazioneLa lavorazione e i sottoprodotti. La lavorazione del riso è una tra le più importanti variabili che intervengono a determinare la qualità. L’obiettivo è quello di rimuovere gli strati cellulari più esterni e il germe con il minimo di rotture. La lavorazione deve fornire un prodotto di aspetto gradevole, avente le migliori caratteristiche qualitative alla cottura. Se guardiamo da vicino un chicco di risone, ci accorgiamo che esso è coperto da un guscio ruvido e duro: la lolla, un tessuto che va tolto per rendere il riso commestibile. La lolla rappresenta il 20% del peso del chicco. Prima di asportare la lolla, il chicco viene separato dalle impurità, dai fili d’erba, dal terriccio e dai sassi. A quel punto inizia la “sbramatura” che avviene facendo passare il risone nello sbramino, cioè tra due rulli abrasivi che lo scortecciano. Quindi, con la raffinazione o sbiancatura si elimina il pericarpo: anche la “sbiancatura” avviene per abrasione, facendo passare il riso decorticato tra superfici che asportano la pula, una pellicina ricca di proteine, vitamine e sali minerali. Così se ne va anche la gemma del riso, che l’industria oggi recupera per produrre l’olio di riso. Un altro sottoprodotto della lavorazione è il farinaccio, utilizzato come mangime per animali. Durante questi processi, possono sfuggire dei chicchi verdi, rotti o imperfetti: vengono individuati da lettori ottici ed espulsi prima di inviare il riso lavorato al confezionamento. Completato l’iter della lavorazione, il riso bianco rappresenta in media poco più del 60% del risone originale: se la “perdita” è notevole, non si dimentichi tuttavia che dalla corretta lavorazione del risone (come dalla sua corretta coltivazione) dipende non solo l’aspetto finale del chicco, ma anche il suo comportamento ai fornelli. Il riso non perfettamente maturo scuoce più facilmente, perché la struttura delle cellule amidacee nella cariosside non è perfetta. Lo stesso avviene se il riso è stato male essiccato o mal conservato. Una lavorazione intensa consente di preparare un riso chiaro, brillante, poco farinoso, come è il prodotto maggiormente preferito dal consumatore. Tuttavia, la suddetta lavorazione riduce alcune caratteristiche qualitative del riso, poiché elimina quasi completamente le assise cellulari che avvolgono l’endocarpo; inoltre, l’eliminazione degli strati periferici, ottenuta con la lavorazione, produce una perdita del valore nutritivo del riso. Per evitarlo, si può ridurre l’intensità della lavorazione: in tal caso, il riso presenta un aspetto meno brillante e aumenta la sua consistenza durante la cottura. Talora, poi, il riso viene soltanto sbramato: stiamo parlando del riso integrale, molto apprezzato dai consumatori, perchè conserva pericarpo e gemma e quindi possiede percentuali più alte di principi nutritivi rispetto al riso bianco. Ovviamente, il riso integrale cuoce in un tempo più lungo, perché il pericarpo limita l’assorbimento dei liquidi, e con il tempo rischia di irrancidire, a causa dell’elevata presenza di grassi. Che sia bianco, integrale o parrboiled (di questo particolare riso lavorato parleremo a parte) il risone che esce dalla lavorazione cambia completamente aspetto ed è pronto per essere confezionato e venduto al consumatore.

Chi siamo

 

L’Azienda Ca’ Pisani ha deciso nel 1989 di riprendere la coltivazione del riso in questa adattissima zona,  forte delle sue precedenti esperienze nel settore maturate nelle sue campagne di Caorle.

 

Le risaie della Ca’ Pisani sono seminate con la varietà di riso “Carnaroli”.

Questa varietà è, rispetto agli standard moderni, superata per produttività e resistenza;  ma è tuttora impareggiabile per le loro eccellenti caratteristiche qualitative ed organolettiche.

Tale qualità è ancor più esaltata dalla particolare tecnica di brillatura:  leggera ed esclusivamente meccanica, senza alcuna aggiunta di additivi che ne intacchino il sapore.

L’azienda compie al suo interno tutte le tappe del processo produttivo: dalla produzione delle sementi, alla coltivazione; dall’essiccazione del risone fino alla pilatura ed alla vendita diretta al pubblico presso l’azienda stessa.

Bagnolo di Lonigo

Non vi è dubbio che in questa località sorgesse, durante il Medioevo, un castello antico e fortissimo: lo affermano concordemente sia i cronisti vicentini che quelli veronesi, i quali lo definiscono oggetto di aspre contese tra Vicenza e Verona. Appare verosimile che esso sorgesse nell’area occupata nel XIV secolo dalla domus dominicalis dei nobili Nogarola, sostituita poi nel Cinquecento dalla palladiana Villa Pisani.

L’origine del castello è ignota, ma dalla sua presumibile ubicazione si può pensare ad una fortificazione fatta erigere dai Malacappella a metà strada tra Lonigo e Cologna, quindi al centro del territorio di loro giurisdizione comitale. Secondo il cronista dell’epoca Gerardo Maurisio, il castello fu distrutto nel 1236 da Ezzelino III da Romano che, secondo il Barbarano, in tale impresa sarebbe stato aiutato dai Malacappella, imparentati con il conte Alberto Maltraversi di Vicenza, cognato di Ezzelino.

Non sembra, però, che nel 1236 Ezzelino abbia completamente distrutto il castello; appena quattro anni dopo, infatti, mentre anche Lonigo e Pojana Maggiore si arrendevano al tiranno, Bagnolo fu nuovamente preso e questa volta il castello venne spianato.